Questo sito presenta cinque cataloghi sulle pratiche artistiche che hanno accompagnato la rivoluzione basagliana a Trieste: fotografia, arte urbana, teatro, arti visive e design. Ogni catalogo raccoglie una selezione di immagini, testi e video tratti dal fondo Oltre Il Giardino. Potete inoltre ascoltare alcuni estratti dei laboratori di storia orale organizzati da Palinsesto Basagliano, in collaborazione con la Cooperativa Sociale La Collina e con il finanziamento della Real Academia de España en Roma

Nel cinquantenario dell’arrivo di Franco Basaglia all’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste (1971), momento centrale del movimento italiano di critica istituzionale e psichiatrica, questo progetto propone di costituire un mosaico delle pratiche artistiche protagoniste di questo percorso, per interrogarle a partire dalle contraddizioni e dalle sfide del nostro presente. La pratica artistica è stata un elemento fondamentale nei processi di liberazione delle persone internate a Trieste e nell’affermazione del loro pieno diritto di cittadinanza. Oggi può essere lo strumento per riprendere questa storia, utile non solo come memoria, ma come catalogo di pratiche e strategie per sfidare questo presente, troppo spesso raccontatoci come tempo immutabile.

Il movimento basagliano, il cui tratto distintivo è stata l’invenzione di istituzioni espressive contro ogni istituzione totale, ha rappresentato un processo fondamentale di liberazione del ventesimo secolo, partito dallo smantellamento del manicomio e ancora vivo nello sviluppo quotidiano di un modello urbano di salute la cui importanza è riconosciuta a livello globale.

Oltre la psichiatria e la medicina, il modello triestino rappresenta un riferimento fondamentale per le differenti generazioni della critica istituzionale nell’arte e nella cultura e più in generale nel welfare, in quanto definisce l’istituzione come trama sociale, storica e materiale, la cui incidenza non è solo disciplinare (medica, estetica, assistenziale per esempio), ma propriamente politica e soprattutto soggettiva. Un’istituzione da sfidare e cambiare, ogni giorno.

Inventare Istituzioni

All’internato non viene offerta altra alternativa oltre la sottomissione al medico e, quindi, la condizione di colonizzato. Deve diventare un corpo istituzionalizzato, che è vissuto e si vive come oggetto. Fino a quando comincerà a essere definito nelle cartelle cliniche «ben adattato all’ambiente, collaborativo, ordinato nella persona»: allora sarà definitivamente sancita la sua condizione di soggetto passivo che esiste solo come numero. Questa la carriera del malato di mente nel manicomio. 

Oltre il Giardino

A Trieste ho avuto la fortuna di vivere un grande momento. E forse ancor prima di capire che cosa stesse accadendo, posso dire di averlo vissuto, il cambiamento. E senza avere il tempo di capire, sono entrato sulla scena di un teatro totale. È stato quando Giuliano Scabia è arrivato a San Giovanni. Nel primo padiglione che si svuota – segno tangibile del cambiamento in atto – si costruisce il cavallo azzurro di legno e cartapesta. Si chiamerà Marco Cavallo.

Singolarità Molteplici

L’ Accademia della Follia non parla piú di “teatro”.  Parla di Accademia, dove si impara, si studia, si insegna, si cerca e si elabora. E di Follia di cui noi siamo portatori, ma vorremmo cominciare a fantasticarci funambolici ricercatori. L’Accademia apre alla Follia. Non più in trincea nel sanguinolento corpo a corpo col nemico metadone, la psicosi, l’anoressia, lame rotanti e spade di fuoco, ma nel trascendentale tu per tu con Dio, metà fisico e metà mistico. Un po’ di teoria della follia per creare una strategia.

Entrare Fuori

La naturalezza di cui parliamo è l’equilibrio perennemente messo in crisi tra ciò che nel­lo discussione dei tecnici viene considerato “tera­peutico” e ciò che, nelle voglie, nei vuoti di tempo e di attività “normali’, nelle scelte di vita e di rappre­sentazione di sé, nella ricerca di senso e di bellezza, nelle pause con il mondo e i suoi riti ripetuti, viene considerato dai protagonisti come “terapeutico”. 

Il Diritto al Bello

Portare qualità e bellezza dove non è prevista, creare spazi connessi con i corpi, le teste, il cuore, l’immaginazione delle persone che li useranno. Inserire la dignità tra gli elementi del progetto. Non tener conto delle concrete possibilità e andare oltre la miseria del reale. Rovesciare territori emarginati di confine in zone libere, stimolanti creatività e sperimentazione, legare qualità del lavoro e qualità degli oggetti e fare di tutto questo qualcosa di produttivo.