Lo sguardo in macchina di una donna internata a Ferrara nel 1969, negli scatti di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, segna l’inizio della lotta sociale per la chiusura dei manicomi in Italia che porterà nel 1978 alla legge 180 per l’abolizione degli ospedali psichiatrici.
Coinvolti da Franco Basaglia nella produzione di un reportage sulle condizioni dei manicomi italiani, Morire di Classe irrompe e stravolge le immagini lombrosiane del Diciannovesimo secolo e quelle disciplinari delle scuole psichiatriche di inizio Novecento per affermare un’altra voce e un altro corpo, negato ma vivo. Corpi contenuti ogni giorno, eppure sempre capaci di emancipazione, perché parte di una società in cambiamento, dei suoi conflitti e delle sue contraddizioni.
Negli anni Settanta saranno gli scatti di Gian Butturini, Gianni Battellini e Neva Gasparo a documentare il cambiamento. Eppure l’istituzione totale rinasce ogni giorno dietro le porte chiuse. A Leros nel 1989, scoperta da Antonella Pizzamiglio, a Valona nel 2003, svelata da Marco Spanó.
Le immagini della vita negata vanno quotidianamente denunciate perché, senza immaginare, non si possono inventare nuove istituzioni.